L’Agenzia della transizione ecologica francese (ADEME), ha pubblicato nel maggio scorso un rapporto intitolato “I limiti degli imballaggi in plastica compostabili”. In questa comunicazione l’istituzione transalpina afferma che “la scelta di imballaggi in plastica compostabile non è (...) una soluzione al problema dell'inquinamento generato dalla plastica nell'ambiente” e “raccomanda ai residenti di mettere gli imballaggi in plastica compostabile nel cestino del riciclaggio (di plastica convenzionale) piuttosto che nel flusso destinato al compostaggio” (dei rifiuti organici).
Successivamente, comunica che “gli imballaggi in bioplastiche compostabili vengono separati dal flusso dei rifiuti riciclabili e avviati con gli altri scarti, generalmente a recupero energetico", ovvero, all’incenerimento o pirolisi.[4]
Le motivazioni riportate alludono all’incapacità, allo stato attuale dell’arte, degli impianti di compostaggio e relative norme che li amministrano, di gestire correttamente questi rifiuti.
Questo avviso è da contestualizzare nel quadro più ampio della cosiddetta legge anti-spreco Agec (Anti-gaspillage pour une économie circulaire) del 2020 con la quale la Francia recepisce la Direttiva Europea SUP (Single Use Plastics) del 2019.
Quest’ultima, infatti, include nella definizione di plastiche anche le bioplastiche compostabili invitando così gli Stati Membri ad applicare le identiche misure restrittive alle plastiche di origine fossile e ai materiali compostabili di origine vegetale. [5]+
Come la Francia anche altri paesi europei si sono allineati a questo approccio, come Portogallo, Grecia, Svezia, Danimarca, ecc., che hanno abolito insieme a piatti, bicchieri, cannucce e contenitori in plastica anche le alternative in bioplastiche compostabili. L’Italia, invece, ha recepito la questione con alcune deroghe che consentono l’utilizzo di monouso compostabile al posto di plastiche di origine fossile.[1, 2]
Questa situazione ha stimolato un intenso dibattito internazionale sul tema delle bioplastiche compostabili, che comprensibilmente suscita confusione e smarrimento nella definizione delle strategie di sostenibilità ambientale di molte realtà responsabili e di molti stakeholder.
Alla luce di ciò, è dunque opportuno specificare la posizione di Plastic Free Certification al riguardo.
Senza dubbio, la Direttiva SUP europea costituisce un importante passo in avanti per fronteggiare l’emergenza dell'inquinamento da plastiche monouso di origine fossile in Europa, abolendo la commercializzazione di molti articoli monouso con un elevato impatto ambientale.
Tuttavia, crediamo che scoraggiare a priori l’utilizzo del monouso compostabile, insieme a quello in plastica convenzionale, e di conseguenza frenare i processi di innovazione industriale che molte realtà stanno portando avanti, sia una strategia miope, anacronistica e controproducente.
In molti casi, infatti, la sostituzione degli articoli monouso non è possibile.
Ciò è vero per la stragrande maggioranza dei prodotti sanitari, per molti imballaggi primari e secondari di articoli alimentari e non, per alcuni prodotti per la conservazione di alimenti, nonché per numerose situazioni in cui normative di carattere igienico-sanitario e contingenze di mercato obbligano ristoratori e organizzatori di eventi ad utilizzare prodotti monouso per la ristorazione.
Qualche esempio: riuscite ad immaginarvi una pellicola alimentare riutilizzabile? O dei sacchetti sottovuoto per alimenti riutilizzabili? O dei sacchi per l’immondizia riutilizzabili?
Ecco perché la strategia di Plastic Free Certification propone una prioritizzazione di azioni di riduzione che in certi casi suggerisce articoli in bioplastiche compostabili, seppur in controtendenza con le raccomandazioni di alcuni ordinamenti nazionali.
Fermo restando che il rispetto del quadro legislativo vigente nei vari territori resta un prerequisito essenziale per le organizzazioni che intendono certificarsi, secondo il nostro Standard le plastiche compostabili monouso restano una soluzione Plastic Free ammissibile e preferibile rispetto all’utilizzo di plastiche monouso di origine fossile, per tutti i casi in cui non sia possibile optare per alternative che eliminano il monouso.
Nello specifico, le organizzazioni che si certificano sul nostro Plastic Free Standard - Sistema di gestione, sono tenute a valutare le soluzioni meno impattanti dal punto di vista ambientale e, solo nei casi in cui non sia possibile realizzarle, per motivi ragionevoli e dimostrabili, è possibile optare per ulteriori tipologie di azioni, secondo l’ordine esposto di seguito:
Esponiamo le motivazioni di questa scelta nella tabella 1 seguente, che compara le caratteristiche dei prodotti monouso in plastica convenzionale con quelli in materiali compostabili. Le informazioni raccolte illustrano in maniera obiettiva e inequivocabile i grandi vantaggi ambientali dei materiali compostabili rispetto ai corrispettivi di origine fossile.
Plastic Free Certification crede che la scelta delle bioplastiche compostabili, in molti casi, rappresenti una valida alternativa e un atto di consumo responsabile, un’alternativa che, a differenza delle plastiche di origine fossile, non alimenta l’industria del petrolio, non necessita di innumerevoli processi di lavorazione, non rilascia sostanze tossiche, non ha tassi di riciclo vergognosamente bassi e tempi di degradazione enormi.
Si reputa dunque di importanza strategica e fondamentale che le istituzioni politiche e civili incentivino lo sviluppo di sistemi produttivi e di smaltimento di questi materiali al fine di promuovere una conversione completa al compostabile dei materiali monouso di cui non si può fare a meno, invece di rallentare questo processo preservando l’obsolescenza dei sistemi nazionali di gestione dei rifiuti.
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